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80 anni dopo, quello che ci insegnano oggi le leggi razziali di ieri….

Tra la fine dell’estate e l’autunno del 1938 il governo Mussolini emanò le cosiddette leggi razziali, un insieme di provvedimenti legislativi e amministrativi (leggi, ordinanze, circolari) rivolte prevalentemente contro le persone di religione ebraica.
Oggi ricorrono 80 anni dal primo di questi provvedimenti, in quanto il 5 settembre del 1938 uscì il Regio decreto legge che fissava
«Provvedimenti per la difesa della razza nella scuola fascista». Poi seguì, il 7 settembre, quello che fissava «Provvedimenti nei confronti degli
ebrei stranieri» fino al 6 ottobre quando il Gran Consiglio del fascismo emise una «dichiarazione sulla
razza» poi adottata dallo Stato sempre
con un Regio decreto legge che porta la data del 17 novembre dello
stesso anno. 
Sono trascorsi 80 anni e il “nemico” straniero, vestito di altri abiti, colori, religioni, dovuto principalmente ad altri fattori, rispetto a quelli per cui alla fine degli anni ’30 si arrivò alle leggi razziali, è ancora ben presente in tutti noi.
Sarebbe troppo semplicistico parlare di razzisti o di antirazzisti perchè il tema è molto più complesso e lo spiega bene sulle pagine di Repubblica lo psicanalista Massimo Recalcati in un bellissimo articolo dal titolo “Nella mente di Salvini”. 
Nel suo articolo Recalcati afferma che “a fondamento di ogni psicologia di massa vi è la difesa della propria identità, il rifiuto dell’estraneo, l’arroccamento di fronte alla minaccia dello straniero, che prima di essere xenofobia, razzismo o altro, che piaccia o meno, è una inclinazione fondamentale dell’essere umano“.
Questa realtà della nostra psiche, negli anni del fascismo e di un certo modo di pensare la politica, ha portato all’emanazione delle leggi razziali e a tutte le conseguenze successive, perchè l’azione politica, anzichè guidare una pulsione che è insita in tutti noi, ha “sfruttato” questo aspetto della nostra psiche per arrivare ad altri obiettivi.
Leggendo le parole di Recalcati, mi viene da pensare che in quegli anni si è cavalcata questa pulsione per il valore supremo della razza, che ha portato agli sfaceli della seconda guerra mondiale e ai milioni di morti e alla distruzione di paesi e popoli. 
Certo, a mitigare questa realtà insita in noi, influiscono e sono importanti anche i nostri
valori personali, la nostra etica, le nostre singole conoscienze, il
modo in cui noi partecipiamo alla vita delle nostre comunità. 
Ma tutto ciò non basta.
Anche oggi come ieri, la politica ha questa grande responsabilità, non solo di conoscere questo fondamento della nostra vita psichica, ma partendo dall’esperienza di quanto avvenuto in passato, di sapere anche quale è il bene superiore per la nostra comunità, in termini di benessere economico, sociale, etico e di convivenza con gli altri popoli e paesi.
Partendo dunque da questa realtà, la politica ha il compito di farci intravedere “un sogno” che le persone devono imparare a condividere, per vedere una meta di arrivo concreta. Ci saranno poi strade diverse per arrivare alla meta, ma il sogno deve essere comune. 
Se il “sogno” è l’Europa per esempio, non si può continuare ad agire come se l’Europa fosse il nostro nemico, ma pur nella difficoltà, lavorare per cercare di migliorare questo “sogno”, condividendolo tutti come la meta finale per le nostre singole comunità nazionali.
Solo così si eviterà di scivolare verso la xenofobia e il razzismo, e si impediranno gli errori di ieri del fascismo e del nazismo, favorendo l’apertura verso l’altro e non la chiusura dentro di noi.

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