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Abramo e la promessa dell’amore

“Abramo, amico mio parti e vai lontano nella terra che dirò io ….” quante volte abbiamo cantato questa canzone e quante volte dentro di noi abbiamo pensato che era tempo di mettersi in cammino…

Il cammino, la ricerca di una nuova terra sono una costante dei personaggi della Bibbia e della storia dell’umanità in generale, qualcosa che molto spesso costruiamo nel nostro immaginario e che ci aiuta a dare un senso al nostro domani.

Certo Abramo ha avuto una grande costanza, ha fatto un lungo cammino, migliaia di chilometri, come oggi fanno i tanti migranti che sono costretti a lasciare le loro terre e le loro radici cercando un sogno, una speranza, un’opportunità.

Abramo è stato un vero migrante, ma è stato anche un uomo fortunato perchè non se ne è andato da una terra inospitale, dove non aveva un futuro.

La sua è stata una chiara scelta, dove ha messo in gioco la propria libertà, come piacerebbe fare a ogni persona  che vive su questo pianeta.

A Ur di Caldea aveva  beni, fratelli, una moglie, eppure, come ci spiega la Genesi, ha deciso di seguire quella voce di Dio che gli diceva di uscire da lì per trovare qualcosa di più importante, “un popolo, una terra, una promessa” . Decide di seguire il suo Dio.

Fu un viaggio lungo il suo, da Ur di Caldea alla terra di Canaan,  inseguendo una voce e una promessa, dentro quel mondo immaginario che è di tutti e nel quale, soli con se stessi, spesso nascono le scelte importanti della nostra vita.

Molti dicono che ciò che immaginiamo su di noi e di noi, spesso è anche ciò che poi si realizza, perché è in quella parte di se stessi che si costruisce il nostro futuro.

Che sia la voce interiore del suo mondo immaginario a guidarlo, o la voce di questo folle Dio che gli parla di terra dove scorre latte e miele, di una discendenza che deve arrivare, nonostante sia ormai in là con gli anni, Abramo, come dice la canzone “prese con sé i fratelli suoi, la dolce Sara e i beni suoi e andò lontano, oltre l’orizzonte…

Quello che mi colpisce in Abramo non è tanto l’aver intrapreso questo cammino inseguendo una voce, ma l’averla continuata a seguire da lì in poi per tutta vita, dalla sua maturità fino alla vecchiaia.

Ed anzi, è in quella parte quasi finale della sua esistenza che costruisce le cose più importanti ….

Prima trova la terra promessa dove arriva a quasi 75 anni, poi ha un primo figlio dalla schiava Agar, Ismaele, a 86 anni, infine all’età di 100 anni avrà un figlio da sua moglie Sara, Isacco.

E lo vedrà crescere questo figlio vivendo ancora a lungo.

Questa vecchia canzone, una volta cantata nelle lunghe veglie pasquali durante le quali si ripercorrono i tratti salienti che fanno la storia del popolo di Dio fino alla comparsa di Gesù, spesso oggi accompagna l’inizio delle mie giornate.

Credo sia quasi un modo di parlarmi, per spingermi a dare un senso a una nuova giornata che è iniziata, come a voler rinnovare il proposito di cercare mettersi ancora in cammino nel giorno che ancora la vita mi offre, nelle opportunità di incontri, gesti di affetto, relazioni, cose da fare.

Cantare di Abramo che parte e va lontano, è molto probabilmente un invito che faccio a me stesso a provare ogni giorno a spezzare le catene che spesso impediscono al “giovane ricco” che è in me, a dare spazio a un modo nuovo di pensare e di vedere le cose, andando oltre il piccolo mondo delle personali sicurezze terrene, per provare a immaginare cose nuove.

Credo di pensare oggi molto di più ad Abramo perché lui è una rappresentazione in positivo di  questa fase della vita dove si fanno un po’ i conti con l’età, con i traguardi raggiunti che rischiano di poter diventare un punto di arrivo, con l’impulso a fermarsi per godere delle cose che si è costruito.

Invece è proprio in questa stagione che lui decide di partire, come se gli anni che ha ancora da vivere fossero i più importanti e pieni di scoperte e meraviglie, con l’idea che non ha ancora realizzato ciò che lui nel suo mondo immaginario vede.

Vi è ancora un orizzonte da raggiungere, un andare oltre su cui Abramo scommette e che lo spinge a raggiungere un  lembo di terra che 4.000 anni fa comprendeva l’attuale Libano, Israele, parti della Siria e della Giordania.

Solo dopo essere arrivato in quella nuova terra lui concepirà due figli che ne faranno il padre delle generazioni a venire; da Ismaele discenderanno le popolazioni arabe, da Isacco quelle ebraiche. Da lui prenderanno spunto le grandi religioni monoteiste.

Così cantando mi immedesimo in Abramo e nella sua fecondità, nelle cose che è riuscito a costruire nel dopo aver saputo ascoltare quella voce interiore che lo spingeva ad immaginare un orizzonte ancora da raggiungere e da costruire.

C’è però un particolare in più che traspare dai versi di questa vecchia canzone cantata da ragazzo e che riscopro in questa fase della mia vita dove si è più propensi a fermarsi che a fare nuovi progetti e che forse è la molla che ci può spingere verso l’orizzonte: “Abramo aveva un grande cuore e diede ascolto alle sue parole….”.

Quell’avere un grande cuore è l’arma in più di Abramo …. è l’amore che spinge a lasciare le sicurezze terrene e materiali, per andare oltre nella ricerca delle relazioni ….

E’ lì la nuova fecondità della vita, quella che non ha limiti di età, che anche da anziano può spingerci al cammino, quel sapere abbandonare le proprietà terrene, per cercare tesori fatti di affetti, carezze, condivisioni, rispetto per l’altro.

Una fecondità che si raggiunge quando non c’è più un ruolo o un incarico da difendere, ma un sorriso da donare, un aiuto per costruire opportunità e speranze anche per altri…

Pensando ad Abramo oggi non vedo  una terra da raggiungere e neanche un popolo che mi possa ospitare, intravedo invece la promessa di un Dio che anche ora mi spinge a camminare e che mi vuole insegnare ad amare ….

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