Il film “Sulla mia
pelle” dedicato a quei 6 giorni che trascorsero tra l’arresto e la morte
di Stefano Cucchi ben raccontano fatti ed avvenimenti.
D’altronde quelle foto di Stefano da subito hanno fatto intuire che quanto veniva raccontato dai carabinieri non poteva essere la verità.
E chissà, senza il coraggio di Ilaria di scattare quelle foto davanti al cadavere del fratello, oggi forse non saremmo arrivati alla verità.
Pensare alla storia di Stefano Cucchi, mi spinge a riflettere anche su Giulio Regeni, un caso ancora più complicato, perchè si svolge in un paese come l’Egitto, guidato da un regime militare che limita fortemente le libertà individuali.
Anche qui c’è una famiglia che lotta, ma davanti a sè ha governi titubanti, in difficoltà, che non riescono a fare pressione verso il regime egiziano, nonostante in questi tre anni si siano alternati al potere partiti diversi.
Sembra prevalere sempre la” ragion di stato” dove appare superiore la necessità di mantenere un buon rapporto con quel paese, rispetto al diritto alla verità che invece reclamano quel babbo e quella mamma e tanti cittadini italiani.
Solo inizialmente il governo guidato da Renzi, nel mese di aprile del 2016, ritirò per protesta dal Cairo il proprio ambasciatore, rinviato in Egitto dal governo Gentiloni ad agosto del 2017, dopo 1 anno e 4 mesi. E’ stato questo il momento di maggior pressione del governo italiano verso il regime di Al Sisi.
Ormai sono trascorsi più di 3 anni e mezzo (fu trovato morto alla periferia de Il Cairo il 3 febbraio 2016) ed è di questi giorni la ripresa di un dialogo tra gli inquirenti egiziani e la magistratura romana, dopo oltre un anno di silenzio.
Qualche settimana fa il Miniatro dell’Interno Di Maio ha chiesto al governo egiziano la ripresa della collaborazione, dopo che mamma Paola e papà Claudio avevano scritto anche al Presidente del Consiglio Conte una accorata lettera: “Sono trascorsi ormai più di tre anni e assieme a
tantissimi cittadini di tutto il mondo attendiamo di sapere i nomi di
tutti i soggetti coinvolti e di vederli assicurati alla giustizia
italiana. Le chiediamo di essere determinato ed incisivo con il
Presidente egiziano di andare oltre ai consueti proclami e promesse, di
ricordargli che la procura romana ha già inserito cinque persone nel
registro degli indagati, in base alle indagini effettuate superando gli
enormi ostacoli posti da parte degli stessi egiziani; è giunto il
momento di ricevere una risposta concreta, vera e definitiva’‘.
La scoperta della verità sulla morte di Giulio, è la difesa della dignità del nostro paese e di tutti i cittadini italiani che confidano nel rispetto dei diritti
umani.
E’ di queste settimane la decisione di aprire nuove indagini su questo duplice omicidio, a distanza di oltre 25 anni, con il rifiuto da parte del Gip di Roma di archiviare il caso, chiedendo di verificare addirittuta eventuali collegamenti tra queste uccisioni e quella del giornalista Mauro Rostagno avvenuta ad opera della mafia nel 1988.
In questo caso purtroppo mamma Luciana non è riuscita a conoscere la verità su chi ha fatto uccidere sua figlia.
Si è spenta infatti nel 2018 dopo una battaglia durata 24 anni e non si è mai arresa, neanche dopo che tre anni fa è stato dichiarato innocente l’unico condannato Hashi Omar Hassan, a seguito di una testimonianza risultata falsa.
Ha continuato a cercare risposte fino all’ultimo giorno della sua vita.
La loro “resistenza” e la loro capacità di combattere è un grande segno di speranza per tutti noi.