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La politica del “carico residuale” e la scelta di rifiutarla

Le parole sono la prima rappresentazione della politica a cui dopo seguono le scelte concrete.

Ma già dalle parole che si utilizzano, si ha un metro di giudizio su quelle che saranno le azioni che seguiranno.

Le parole sono rappresentazione anche dei valori e del significato che si dà a una determinata questione o problema. Dunque sono di per sé importanti.

Sentire parlare un ministro di un governo di persone come “carico residuale”, ci dà l’idea di come questo signore che oggi è chiamato a rappresentare nel suo ruolo un intero paese, consideri quegli uomini e quelle donne così definite .

Il resto lo raccontano i fatti di questi giorni.

Un modo distorto di gestire i problemi politici senza rendersi conto che dietro ognuno di questi “carichi residuali” c’è una storia, una vita di sofferenza e di speranza.

Un modo di parlare e di gestire un problema così complesso  che invece di dare risposte, alimenta quella parte di “razzismo” che sta dentro di noi, spinge a “incattivire” una società che vede nei migranti solo un nemico per se stessa.

Oppure per spingerci a vedere un altro nuovo nemico, fatto di navi di ONG, che diventano così agli occhi di questa visione della politica migratoria organizzazioni non umanitarie, ma collaboratrici di scafisti e mercenari.

Sia ben chiaro, una visione non iniziata oggi con il governo Meloni, ma che si è fatta strada già nel 2016 con l’allora Governo Renzi e l’allora Ministro degli Interni Marco Minniti del PD.

Ma le cose stanno diversamente.

Infatti poco più del 15% dei migranti è arrivato in Italia nel 2022 attraverso le ONG, il resto è giunto con barconi più o meno piccoli dopo traversate senza naufragio , o sono stati raccolti dalla Guardia Costiera, o addirittura sono arrivati a piedi lungo la rotta Balcanica, dopo un viaggio durato mesi e anni.

Pochi sanno che a Trieste (uno dei luoghi di arrivo da chi proviene dalla rotta Balcanica) esiste un’associazione che ogni giorno aspetta nella piazza antistante la stazione ferroviaria i migranti che giungono  a piedi, per curare loro i piedi che si sono rovinati dopo un così lungo cammino.

In queste ultime due settimane, delle oltre  9.000 persone sbarcati in Italia, sono solo poco più di 1.000 quelle imbarcate dalle navi umanitarie.

Non sappiamo poi che una parte di coloro che hanno ruoli di guida nella guardia costiera libica (finanziata con i soldi del nostro governo per scelta proprio de Ministro dell’Interno del PD Marco Minniti) si dedicano a quella che è diventata nel tempo la loro attività principale, cioè di collaborare con gli scafisti, fornendo diversi tipi di aiuto.

Se di giorno riportano in Libia chi tenta di scappare, sono loro poi a fornire carburante per il viaggio dei gommoni, o a “gestire” la partenza di uomini e donne che hanno prima raccolto in mare, in business senza fine vissuto sulla pelle di queste persone.

Sono informazioni e notizie rese note ormai da tempo da inchieste di giornali come l’Avvenire già dal 2017, eppure è di poco tempo fa il rinnovo degli accordi su questi temi con la Libia.

Sia il governo Draghi prima e ora quello Meloni non hanno chiesto di rivedere l’intesa, nonostante il pressing delle ong, che in più di un’occasione hanno ricordato i casi di violazione dei diritti umani nei centri di detenzione libici, dove vengono trattenuti i migranti intercettati in mare” (scrive Il Sole 24 ore il 2 novembre scorso)

In pochi sanno anche che l’Italia non è davvero lasciata sola dall’Europa nell’accoglienza dei migranti.

Il Paese europeo che ha accolto di più nel corso del 2022 è la Germania, con 191.000 richieste di asilo, seguita dalla Francia, con 121.000, la Spagna con 65.000, e l’Italia con 53.000.

In rapporto al numero di abitanti, il Paese che accoglie di più è Cipro, seguito da Austria e Slovenia.

Inoltre non è un mistero che la maggior parte dei migranti dopo lo sbarco non chiede asilo in Italia.

Infatti, tra il 2019 e il 2021 all’Italia sono arrivate il 6,5 per cento del totale delle richieste di asilo presentate negli stati membri dell’Unione. 

Non è neanche vero che esiste un problema di sovraffollamento e di emergenza nei centri di accoglienza: il numero dei migranti accolti in Italia al 31 ottobre è di 103.161.

Tra questi 68.962 sono nei centri, 32.397 nel sistema Sai (Sistema Accoglienza Integrazione), 1.802 negli hot-spot di Sicilia e Puglia, che sono al momento in sofferenza per i continui arrivi di sbarchi autonomi.

Solo nel 2017, i migranti in accoglienza in Italia erano più di 180.000

Il dato invece più negativo riguarda la concretizzazione del patto di solidarietà, firmato a giugno scorso, e che ha visto l’adesione di 23 Paesi (19 Stati membri dell’Ue e 4 paesi associati a Schengen).

Tra questi, tredici Stati membri hanno accettato di fornire impegni di ricollocazione per oltre 8.000 persone, mentre finora Danimarca, Paesi Bassi, Repubblica Ceca e Svizzera hanno fornito solo contributi finanziari.

Dall’Italia sono stati ricollocati solo 112 migranti: 38 in Francia e 74 in Germania.

Appare chiaro a tutti che l’azione politica dovrebbe concentrare la propria azione nella modifica del Trattato di Dublino del 1990 (e poi rinnovato nel tempo da governi di ogni colore politico), che al momento vincola il migrante a chiedere asilo politico nel paese di arrivo.

E’ questo l’unico punto che permetterebbe una vera azione di distribuzione di queste persone nei vari paesi europei.

Ma su questo punto i maggiori ostacoli vengono principalmente da quei paesi che sono politicamente vicini all’attuale governo italiano come i paesi di Visegrad (Ungheria e Polonia, Repubblica Ceca e Slovacchia).

Dunque la realtà politica nella gestione dei migranti è molto più complessa da come appare trasparire dalla comunicazione dei governo, che su questo tema sembra aver sposato in toto la linea già perdente in Europa dell’allora Governo Lega – 5 Stelle del 2018 che vedeva come ministro dell’Interno Matteo Salvini.

Una linea che fu perdente anche in Italia perchè attraverso i cosiddetti decreti sicurezza si sono creati centinaia di migliaia di clandestini impossibilitate ad avere una residenza, a trovare un lavoro, a non avere assistenza sanitaria, impossibilitate a forme di integrazione, creando una manodopera adatta a forme di caporalato nel mondo del lavoro e a uno sfruttamento da parte delle organizzazioni criminali.

Un decreto che voleva togliere e rendere reato per queste persone anche la speranza.

Nei giorni scorsi alla marcia per la pace a Roma Luigi Ciotti pronunciava queste parole: “La povertà, con questa visione della politica diventa un crimine, un reato contro le persone. Ma la speranza non è un reato e dunque neanche  la migrazione è un  reato, perché Il diritto alla vita è fondamentale per ciascuna persona, un diritto inalienabile

Per chi crede in questi valori, ci sono azioni che anche ciascuno di noi può fare per contrastare questa visione della vita di un paese, aldilà dell’azione politica portata avanti da un governo.

Per esempio sostenendo economicamente le ONG anche con piccole donazioni.

Le ONG non collaborano con gli scafisti, ma salvano vite umane.

Oppure diventando tutori volontari di minori non accompagnati, per aiutare nel loro inserimento quei bambini o adolescenti che arrivano qui da noi da soli e che nessun governo cosiddetto democratico può lasciare senza aiuto.

E’ la risposta che in migliaia possiamo dare per cambiare intanto noi dal di dentro, per evitare che parole e azioni politiche come quelle a cui assistiamo in questi giorni ci trasformino in uomini e donne privi di umanità.

Una forma di rivolta civile che parte dal basso, e piano piano, giorno dopo giorno, può far capire a chi persegue la politica del “carico residuale” che ciò che propongono non è quello che come cittadini di un paese libero e democratico vogliamo.

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