
Una settimana fa quando il virus ha fatto la sua comparsa in Italia mi ero illuso del segnale positivo lanciato da istituzioni e politica. In una prima fase avevano assunto un atteggiamento responsabile; governo e regioni dialogavano e facevano scelte comuni. Mi sentivo rinfrancato da questo atteggiamento e anche la comunicazione all’inizio aveva assunto un senso di forte responsabililità verso i cittadini. Niente di più sbagliato e la dimostrazione lo sono stati i giorni da domenica a mercoledì compresi, nei quali quasi tutti hanno dato il peggio di sé. Cerco di riassumere brevemente quanto è accaduto. Un premier che appare 16 volte in un giorno in televisione (domenica) con tanto di maglioncino e non nei suoi spazi istituzionali, ma alla Protezione Civile, luogo che di per sé, nell’immaginario collettivo, deputato ad affrontare tragedie ed emergenze, altro non può far scattare che agli occhi dell’opinione pubblica, non un semplice senso di paura, ma di vero e proprio panico. Due conferenze stampa al giorno, come in tempo di guerra, dove si danno “bollettini” che altro non fanno che trasmettere insicurezza e incertezza. Il capo del maggior partito di opposizione che al momento dell’inizio dell’epidemia chiede frontiere chiuse, spazi aerei chiusi, porti nuovamente chiusi (basta rivedere le sue dirette facebook dei primi giorni), e che oggi contraddice se stesso quando chiede le dimissioni del premier, reputandolo un incapace per aver isolato alcune aree ed aver favorito il panico e la fuga dall’Italia. Se fossero state seguite le sue idee e proposte, oggi saremmo un paese veramente isolato dal resto del mondo, dall’Europa (che pure ha le sue contraddizioni) con un’economia ancora più a pezzi. Isolare alcune zone ha senso da un punto di vista medico e di controllo di una epidemia; una scelta giusta e condivisa dal mondo della scienza e della medicina perché in quei giorni, con un nemico sconosciuto, era l’unica strada da seguire. Ma è sotto gli occhi di tutti cosa l’isolamento di altre aree, soprattutto in Lombardia e in Veneto, ha prodotto a livello mediatico ed economico per il nostro paese. Non bastavano un premier e un capo dell’opposizione a fare danno; a loro si è aggiunto il Presidente della Regione Lombardia che in piena bufera mediatica e crisi collettiva non trova di meglio da fare che mettersi in diretta la mascherina dopo aver scoperto che una sua collaboratrice è stata contagiata. Un’immagine che ha fatto il giro del mondo e che non ha certo aiutato chi in Lombardia, ad iniziare dal Sindaco di Milano e dagli imprenditori, chiedeva invece di abbassare i toni. Così non poteva mancare anche una disputa tra Regioni e Governo: le Marche che chiudono le scuole senza un senso scientifico e medico, quando ancora non ci sono casi conclamati, o la Regione Toscana che invece è stata costretta a tornare indietro sulle sue decisioni dopo una disposizione del governo sulle persone che dovevano essere messe in isolamento se tornate dalle zone della Cina, là dove tutto è nato. Non possiamo dimenticare i giornali che hanno favorito il diffondersi del panico con i loro titoli: “Coprifuoco – nord come in guerra” (Il Giornale del 24 febbraio), “Mezza Italia in quarantena – siamo un’emergenza” (La Repubblica del 24 febbraio), “Le vie del virus sono infinite – l’infezione si propaga in tutto il paese” (Libero del 25 febbraio), solo per fare alcuni esempi di giornali di diverse opinioni politiche. E le tv con la loro spasmodica attenzione mediatica, come per fare un esempio, la trasmissione di domenica su Rai Tre di Lucia Annunziata che ha enfatizzato quanto sta accadendo con la programmazione prolungata fino alle 17. Ma tutte in questi giorni non hanno fatto altro che proporci ore e ore interminabili di programmi di questo tipo e con lo stesso tono. Alla fine di tutto questo “casino” non poteva mancare la classica richiesta di crisi di governo, di sostituzione del premier, di governissimo, in un momento in cui di ben altro c’è bisogno, non certo di altra incertezza in un sistema che già ha mostrato le sue falle. Pensavo veramente che l’Italia una volta tanto potesse dare un’idea nuova e unita di sé, ma molto probabilmente sono stato un illuso e le reazioni degli italiani sono state le classiche conseguenze di istituzioni, politica e media che hanno dato veramente il peggio di loro stessi nell’arco della settimana. In questo marasma salvo tre cose, che possono essere anche indicative e costruttive per ciò che accadrà da domani: I medici, gli infermieri, il mondo della ricerca che si stanno prodigando dimostrando comunque la qualità del nostro sistema sanitario pubblico. il ministro Speranza, che ha cercato una unione con le regioni, soprattutto con Lombardia e Veneto, firmando insieme ai loro governatori i primi provvedimenti; ha poi tenuto un profilo basso, ha messo accanto a sé come consulente uno dei maggiori esponenti della medicina italiana e mondiale, e ha continuato a lavorare in silenzio. Il giornale Avvenire che in questi giorni ha tenuto un profilo meno allarmistico, improntato alla speranza, dando molto spazio anche alle notizie positive e che oggi titola in prima pagina “C’è voglia di ripartire”. Sì cari politici, care istituzioni e cari media, prendete spunto da questi quattro esempi positivi perché il paese ha voglia di ripartire. Datevi da fare.
