Sono le storie delle persone che riescono a fare breccia dentro ciascuno di noi, aiutandoci ad allargare la nostra mente, spingendoci a scavare più in profondità e ad aprirci a una visione che sappia andare oltre la superficie delle cose.
In queste settimane, a distanza di pochi giorni, abbiamo celebrato sia il Giorno della Memoria, in cui si commemora la shoah subita del popolo ebraico, sia il Giorno del Ricordo, dove si commemorano le stragi delle foibe e la fuga degli esuli Istriani e Giuliano Dalmati dalle loro terre.
In questi stessi giorni ho letto due libri diversi che si intrecciano tra loro richiamando le due commemorazioni.
Il primo si intitola “Etty Hillesum” ed è la storia di una giovane scrittrice ebrea morta nel campo di concentramento di Auschwitz. Il volume fa parte di una raccolta di spiritualità curata per il “Corriere della Sera” da Vito Mancuso.
Il secondo è dedicato ai quasi 10.000 profughi Giuliano Dalmati che dal 1946 al 1963 sono passati dal centro raccolta profughi di Laterina, nel nostro Valdarno. Si intitola “La patria perduta”, ed è curato da Elio Varutti.
I due libri, che richiamano due dolorose vicende storiche, nella loro tragicità riescono comunque a trasmettere anche un messaggio di speranza.
Nel primo, Etty Hillesum ci appare come una donna unica, di una bellezza interiore rara, che ha saputo accogliere dentro di sé le contraddizioni della condizione umana, riuscendo a conciliare insieme una vita di fede e di amore per l’esistenza, anche quando sarà chiamata a vivere su di sé le nefandezze del nazismo.
La lettura dei suoi scritti, delle sue lettere, del suo diario, lascia il lettore meravigliato dalla grandezza di un’anima che riesce a cogliere raggi di sole anche quando tutto sembra essere avvolto dalle tenebre.
Così rinuncerà a salvarsi pur di seguire ad Auschwitz la sua famiglia, e nel campo di concentramento si dedicherà fino all’ultimo ad assistere i bambini, fino ad accompagnarli alla stanza delle docce di gas, facendo in modo che non si accorgessero di cosa stava accadendo.
Accolse la morte con una vitalità che la porta a dire che ” la vita è pur buona; non sarà colpa di Dio se a volte tutto va così storto, ma la colpa è nostra” oppure rivolgendosi a Dio ad affermare che “dobbiamo salvare quel piccolo pezzo di te, Dio, che vive in noi stessi, difendere fino all’ultimo la tua casa in noi”.
È quello che Etty ha fatto nella sua breve vita, grazie a una spiritualità e a una esistenza interiore bellissima…
Il secondo libro non parla di una singola storia, ma narra di storie di intere famiglie di profughi sradicate dalla terra che abitavano da sempre.
Parla di persone costrette a una via Crucis interminabile, sfuggite alle foibe, ma costrette a pellegrinare per centri di raccolta, baracche degradate, lavori saltuari, percorsi di integrazione difficili con gli abitanti del luogo.
È quanto accadde anche nel centro raccolta profughi di Laterina, nel nostro Valdarno, nel dopoguerra, per oltre 15 anni.
Ma sono anche storie di riscatto, di vite ricostruite, di accoglienza, di rinascita…
Questi due libri si legano insieme perchè entrambi, nelle diverse vicende raccontate e partendo dalla tragicità dei fatti storici accaduti, ci parlano della capacità che hanno le persone di saper trovare il bene anche dentro il male.
Ci parlano della capacità che ha l’umanità di saper risorgere dalla disumanità che sa creare e di come le singole storie di uomini e donne, se conosciute, possano aiutarci a migliorare il nostro cammino nel mondo.
“Noi siamo la memoria che abbiamo e la responsabilità che ci assumiamo… ” scrive José Saramago.
Storie come quella di Etty Hillesum e come quelle dei profughi dell’Istria e della Dalmazia sono un invito a noi a non disperdere nel vento questa nostra vita.
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